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Ospiti della Festa dei Giovani 2019

Avremo il piacere di avere con noi, in questa edizione della Festa dei Giovani 2019, una famiglia normale, ma straordinaria: la famiglia di Marco Gallo. Anche Marco era un ragazzo tanto normale, quanto straordinario...


Ospiti della Festa dei Giovani 2019

del 20 febbraio 2019

Avremo il piacere di avere con noi, in questa edizione della Festa dei Giovani 2019, una famiglia normale, ma straordinaria: la famiglia di Marco Gallo. Anche Marco era un ragazzo tanto normale, quanto straordinario...

 

Avremo il piacere di avere con noi, in questa edizione della Festa dei Giovani 2019, una famiglia normale, ma straordinaria: la famiglia di Marco Gallo. Anche Marco era un ragazzo tanto normale, quanto straordinario.

Sono Marco Gallo, un ragazzo monzese di 17 anni. Ieri, andato in pellegrinaggio alla beatificazione di Giovanni Paolo II, è come se fosse nato in me un prepotente desiderio di conoscerlo. Ho cercato di capire chi era, e sono rimasto profondamente colpito da queste sue parole: «Non abbiate paura. Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo, alla sua salvatrice potestà, aprite i confini degli Stati, i sistemi economici, come quelli politici, i vasti campi di cultura di civiltà di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo, solo Lui lo sa. Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore, così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra; è invaso dal dubbio, che si tramuta in disperazione. Permettete quindi, vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia, permettete a Cristo di parlare all’uomo, solo lui ha parole di vita, sì!, di vita eterna».
È come se, finalmente, qualcuno mi abbia capito. Una comprensione che va oltre quella degli amici e delle persone che ho incontrato. Come se tutto il segreto della vita fosse racchiuso qui, in queste parole. Cavolo, sono andato in chiesa, e per la prima volta in moltissimo tempo ho pregato intensamente, affinché queste parole rimanessero bene incise dentro di me, affinché realmente Cristo, ora, di fronte alla mia situazione che realmente è di dubbio e di disperazione, mi abbracci, ora. [...]

Il punto del mio discorso è questo: se Cristo realmente non fosse qualcuno che accade nel presente della nostra vita, se Cristo realmente non mi salva, non ti salva, ora, ma soprattutto, se noi non siamo disposti ad aspettarcelo e ad accettarlo ora, per quale motivo possiamo definirci cristiani? Se non abbiamo intenzione di cambiare i nostri modi di fare, se non siamo disposti ad abbandonare le nostre fragili certezze, i nostri patetici timori (che può essere addirittura quello parlare a uno sconosciuto), il modo in cui spendiamo il tempo e con cui ci rapportiamo con la realtà e con le persone, in che cosa speriamo?

 

Sulla rivista Tempi la giornalista Marina Corradi ha dedicato a Marco un bellissimo articolo, di cui riportiamo qui sotto una parte.

 

Monza. Una palazzina bianca a ridosso di Villa Reale. Esiti ad allungare il dito sul citofono. Cosa si domanda alla madre e al padre di un ragazzo morto in un incidente in moto mentre andava a scuola? Marco Gallo avrebbe compiuto 18 anni a marzo del 2011. Faceva l’ultimo anno di liceo scientifico. È un bel ragazzo, quello che sorride dalle foto attaccate sul frigo con le calamite, in cucina. Il padre ingegnere, la mamma insegnante, due sorelle, Francesca di 20 anni e Veronica di 14 – la sorellina che Marco si coccolava, e che stamane è a scuola.
Sulla scrivania il pc è acceso, ed è pieno di foto. Quelle della vacanza in California, “on the road”, con Marco che costrinse la famiglia a fare centinaia di chilometri per vedere il più antico albero d’America: un “bristle cone” germogliato 4500 anni fa. «Ma ci pensate?», diceva, entusiasta, «questo tronco vive da 4500 anni!».
Aveva una gran voglia, Marco, di cose che durassero per sempre. Aveva intitolato un quaderno “Ipotesi sul desiderio di felicità”. E ci aveva scritto con la sua calligrafia minuta: «Ci occorre una risposta presente ed eterna».

Com’era Marco, il diciassettenne di cui il cardinale Scola ha letto una lettera, nella basilica di Sant’Ambrogio affollata di ragazzi, chi era il ragazzo che nel Duomo di Monza sono venuti da tutta la Brianza a salutare, insieme agli amici delle estati in Liguria, e ai professori e ai compagni del liceo Don Gnocchi di Carate? E quale segno ha lasciato questo suo andarsene in un soffio, appena pochi giorni dopo essere andato con degli amici a spalare il fango, a Borghetto Vara?

«Era un vulcano», dice la mamma Paola. Uno che impazziva per i fuochi d’artificio, e comprava il salnitro per fare il botto più forte. Un passionale che si buttava in ogni cosa. Senza aver mai fatto il salto a ostacoli un giorno arrivò in pista, si fece prestare un paio di scarpe e subito realizzò il tempo minimo necessario per le selezioni nazionali. Da piccolo costruiva grandi castelli di sabbia, complicate strutture di Lego e diceva: «Farò il geometrico, da grande». Ma adesso invece domandava polemico a suo padre Antonio: «A cosa serve, l’università?». Al padre che lo avrebbe voluto un po’ più quadrato, più regolare. E invece quel ragazzo sembrava avere il fuoco di una domanda addosso. Nuotare nel mare aperto, arrampicarsi sulle montagne: attratto dai grandi spazi, sempre come teso a cercare, oltre l’apparenza, un di più che ancora non riusciva ad afferrare. La mamma: «Cercava sempre il senso delle cose; sembrava che nulla gli bastasse».

Negli ultimi tempi Marco aveva sviluppato come un vorace desiderio di significato. In gita con i compagni li teneva svegli, la notte, a parlare del senso della vita. 

Nel racconto della madre, gli ultimi mesi di Marco sembrano marcati da una vertiginosa accelerazione. Come se la sua domanda fosse ogni giorno più radicale. A maggio va alla beatificazione di Giovanni Paolo II, a Roma. Torna, e le parole del Papa beato gli riecheggiano in testa, tanto da scrivere alla rivista Tempi una lettera, parte della quale abbiamo riportato poco sopra.

L’ultima sera, il 4 novembre 2011, quella prima dell'incidente, Marco aveva scritto sul muro, accanto al suo letto, dove c'è ancora appeso il Crocifisso di San Damiano: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?». La mamma ne è sicura, prima di quel giorno, quella scritta non c’era. 

 

Abbiamo scelto Marco Gallo come giovane che ha preso sul serio la santità e ha ha vissuto la sua vita, breve ma intensa, come missione e dono per gli altri!

 

La Redazione

 

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